Cosa vuol dire che sarà vietata la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare

Cosa vuol dire che sarà vietata la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare

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Data : 2023-12-20 16:34:23
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Martedì la Camera dei deputati ha approvato un emendamento a un disegno di legge che introduce nuove regole sul modo in cui vengono diffusi su giornali e media gli atti dei processi: in base all’emendamento, fino alla fine delle indagini preliminari sarà vietato pubblicare integralmente o in parte il testo di un’ordinanza di custodia cautelare, cioè il provvedimento con cui un giudice decide misure cautelari (come la carcerazione o gli arresti domiciliari) per una persona indagata. A meno che non si decida di rendere il divieto più restrittivo, si potrà comunque dare notizia di quello che c’è scritto nell’ordinanza.

L’emendamento è stato presentato dal deputato Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione, ed è stato inserito in un disegno di legge di delegazione europea, il tipo di legge con cui l’Italia recepisce norme dell’Unione Europea. Prima di diventare legge, il ddl dovrà essere approvato da entrambe le camere, ma non ci sono molti dubbi sul fatto che il nuovo emendamento sarà presente anche nel testo finale, e per questo se ne sta già parlando molto: è stato infatti approvato da una larga maggioranza composta dai partiti della destra al governo e dai centristi di Azione e Italia Viva, con 160 voti favorevoli e 70 contrari.

La norma ha anche già ricevuto molte critiche, soprattutto su alcuni giornali: i media sono infatti i principali interessati dalla novità, dal momento che pubblicano quasi ogni giorno stralci di ordinanze di custodia cautelare. Repubblica per esempio l’ha definita «legge bavaglio», il Fatto Quotidiano «Super-bavaglio», dicendo in sostanza che verrà fortemente limitata la libertà dei giornali di pubblicare notizie. Tra i partiti invece il Movimento 5 Stelle, che ha votato contro l’emendamento, ha parlato ugualmente di «bavaglio».

L’ordinanza di custodia cautelare è un provvedimento che ha a che fare con le indagini preliminari, la prima fase di un’inchiesta giudiziaria, in cui bisogna stabilire se una persona accusata di un certo reato debba o meno andare a processo. Anche se questa persona non è ancora sotto processo e quindi non è ancora stato accertato che abbia commesso dei crimini, il giudice per le indagini preliminari in questa fase può comunque decidere – su richiesta del pubblico ministero – di limitarne in qualche modo la libertà, se ritiene per esempio che questa possa scappare, «inquinare» le prove o commettere altri reati. Lo fa con le cosiddette misure cautelari: tra queste ci sono la detenzione in carcere, gli arresti domiciliari e vari divieti di allontanarsi da un certo posto o di avvicinarsi a un altro. Per disporre le misure cautelari il giudice usa appunto l’ordinanza di custodia cautelare.

È un atto che contiene un riassunto delle accuse su cui si sta indagando e le motivazioni per cui si ritiene giustificata una certa misura cautelare, e dev’essere consegnato alla persona indagata e ai suoi avvocati difensori. Il contenuto di questi documenti è spesso utile ai giornalisti per capire perché una persona sia sotto indagine e spiegarlo in un articolo: molte volte lo fanno citandone testualmente dei passaggi, un po’ per far capire che hanno il documento sotto mano e dare prova di quello che dicono, un po’ per evitare di distorcerne il contenuto. Spesso però quei contenuti non sono facilmente comprensibili per chi non è esperto di diritto.

Attualmente le ordinanze di custodia cautelare sono tra i pochissimi atti processuali che si possono pubblicare sui giornali anche prima della fine delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, quella che si fa al termine delle indagini e in cui un giudice decide se mandare o meno a processo la persona indagata.

Secondo Costa limitare la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare darà maggiori garanzie alle persone indagate: ritiene che riferire testualmente il contenuto delle accuse in una fase così preliminare contribuisca ad aumentare la percezione di colpevolezza dell’indagato, quando invece di lì a poco il giudice potrebbe anche decidere che non ci sono abbastanza elementi per mandarlo a processo. Tra un’ordinanza di custodia cautelare e la fase centrale di un processo peraltro le accuse possono cambiare anche molto. Nelle ordinanze poi spesso vengono inseriti anche altri elementi, come intercettazioni telefoniche o altri aspetti della vita privata dell’indagato, che poi si rivelano inutili ai fini dell’indagine: se vengono pubblicate però quelle informazioni diventano di dominio pubblico, violando la privacy dell’indagato.

Per quello che se ne sa ora in ogni caso l’emendamento di Costa non impedirà di pubblicare la notizia, cioè il fatto che a una persona indagata è stata imposta una misura cautelare, né di riassumere il contenuto di quel documento.

La pubblicazione di atti processuali è in gran parte regolata dall’articolo 114 del codice di procedura penale, che l’emendamento vuole appunto modificare. L’articolo vieta del tutto di pubblicare gli atti coperti da segreto d’ufficio, cioè quelli che non sono ancora stati depositati in cancelleria e consegnati alle “parti”: il pubblico ministero (l’accusa), gli avvocati difensori e le “parti civili”, ovvero chi si ritiene danneggiato dal reato in questione.

L’ordinanza di custodia cautelare, che viene consegnata all’accusato e al suo avvocato, è per sua natura un atto non coperto da segreto. Anche sugli atti non più coperti da segreto comunque ci sono restrizioni per la pubblicazione: non possono essere pubblicati, nemmeno parzialmente, fino alla fine delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare. L’ordinanza di custodia cautelare finora era l’unico atto non coperto da segreto che si poteva pubblicare anche prima della conclusione di queste fasi.

Succede comunque che sui giornali si trovino citazioni di atti che non si possono pubblicare, anche tra quelli coperti da segreto d’ufficio: i giornalisti di cronaca giudiziaria ottengono spesso i documenti in virtù di buoni rapporti con persone che lavorano negli uffici delle procure. La diffusione di segreto d’ufficio è un reato con pene da sei mesi a tre anni di carcere, ma riguarda solo il pubblico ufficiale che consegna il documento: il giornalista può essere al massimo accusato di concorso in diffusione di segreto d’ufficio, ma succede raramente perché la libertà di usare quei documenti solitamente è protetta dal diritto di cronaca, sancito dalle leggi sulla stampa e dall’articolo 21 della Costituzione.

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